Diario
18 novembre 2010
Non sembrava novembre quella sera
Non sembrava novembre quella sera.
Il terremoto del 1980 tra storia e memoria
Edizioni Mephite
I prossimi appuntamenti:
Sabato
20 novembre, Teatro Comunale di Teora, ore 17 e 30, convegno
"Cooperative ieri e oggi; il ruolo delle donne" (Organizzato da CGIL e
Comune di Teora)
Domenica
21 novembre, Aula Consiliare, Comune di Lioni, ore 18, presentazione
del rapporto "Le Macerie invisibili" (a cura del'Osservatorio Permanente
sul Doposisma-Fondazione MIDA)
Presentazioni del libro:
27 novembre ore 18, Chiesa del Carmine, Avellino ( a cura del Presidio del Libro di Avellino)
29 novembre, ore 18 Bisaccia, Castello Ducale
30 novembre, ore 18, Frigento, Palazzo De Leo
11 gennaio 2010
23 novembre 1980
Domenica
23 novembre 1980, ore 19 e 34. Un terremoto di fortissima intensità
(10° grado scala Mercalli) colpisce una vasta regione dell’Italia
Meridionale, al confine tra la Campania e la Basilicata, e viene
avvertito praticamente in tutto il Sud Italia, da Roma in giù. I morti
saranno 2914, i feriti 8800 e 275mila i senzatetto.
Questa
è la versione fredda che del terremoto dell’Irpinia (o meglio di
Campania e Basilicata) si può trovare negli annali. Ma per raccontare
un evento tragico e devastante non bastano cifre, cronologie o
citazioni.
Bisogna interpellare la memoria.
Anche
se la memoria è una fonte storica imperfetta, da soppesare
attentamente, da verificare più e più volte. Tuttavia, il racconto di
un evento tragico, di una sofferenza estrema ha un valore diverso in
quanto a testimonianza. Basti pensare all’uso dei racconti orali per
cercare di narrare gli orrori della Shoah, delle violenze di massa, dei
bombardamenti. Per questo, interrogare la memoria, collettiva ed
individuale, per raccontare il terremoto, la nostra tragedia, può
essere un’operazione culturale di grande valore.
Per
far emergere le visioni del mondo, il senso che la gente ha dato alle
cose, le sue spiegazioni. Per far emergere, senza fronzoli e
dietrologie, il dolore rimosso.
Se hai qualcosa da testimoniare, scrivi a stefanoventura@unisi.it; il tuo aiuto, insieme a quello degli altri, contribuirà a ricostruire il mosaico della memoria del terremoto.
23 aprile 2009
Natura imprevedibile o umana imprevidenza?
Natura imprevedibile o umana
imprevidenza?
pubblicato anche su www.giannisilei.it
Il terremoto che
la notte tra il 5 e il 6 aprile ha colpito l’Abruzzo ha assunto sin da subito
dimensioni di una certa gravità. Le informazioni che stanno circolando sui
media e sulla rete stanno descrivendo in modo adeguato tutti i problemi, i
drammi individuali e collettivi, l’organizzazione dei soccorsi e il tentativo
di salvare le persone sepolte sotto le macerie e di recuperare i corpi. Tra i
temi che sono stati sollevati, a volte anche con accenti polemici, un discreto spazio
è stato riservato al dibattito sul patrimonio edilizio pubblico e privato, che
si è dimostrato purtroppo inadeguato a fronteggiare un terremoto, caratterizzato
da una serie di scosse anche di forte intensità. La fragilità degli edifici
pubblici ha subito richiamato alla mente altri momenti della storia italiana recenti
(si pensi al 2002 e al dramma della scuola di San Giuliano, nel Molise). Alcuni
hanno anche fatto notare come le polemiche di questo tipo sono consuete dopo le
catastrofi, ma quasi mai alle polemiche è seguito un intervento di largo
respiro per sanare le decennali inadempienze e per favorire controlli sulla
qualità delle costruzioni o la messa in sicurezza del territorio.
Per chiarire
meglio alcuni aspetti del rapporto tra territorio italiano e terremoti bisogna
far riferimento ad alcuni casi specifici accaduti nell’ultimo secolo. In questi
giorni si è sentito parlare, forse troppo sbrigativamente di terremoti e
ricostruzioni “cattive” (Messina, 1908, Belice, 1968, e Irpinia, 1980) e di
esempi di buona ricostruzione (Friuli 1976 e Umbria - Marche nel 1997). Del
caso di San Giuliano si è già accennato; si potrebbero tuttavia aggiungere
anche altri eventi, come frane, alluvioni e disastri di altra natura.
Bisogna
specificare che la comparazione frettolosa effettuata nei dibattiti televisivi
è altra cosa dalla conoscenza approfondita di come si ricostruisce dopo un
terremoto; ogni caso ha le sue peculiarità, conseguenze più o meno devastanti,
territori più o meno vasti che vengono coinvolti, situazioni pregresse e abitudini civiche
diverse.
Il clima di
mobilitazione e di solidarietà che caratterizza un’emergenza di solito sospende
le leadership consolidate e istituzionali, la risoluzione dei problemi primari
dei terremotati assume la priorità e si fa immediato ricorso a chi è in grado
di risolvere i problemi (esercito, volontariato, forze organizzate). Questo
terremoto ha tuttavia dimostrato (è anche il caso del settembre 1997
in Umbria e Marche) che il Sistema Nazionale
di Protezione Civile, basato su un’organizzazione territoriale articolata e
disseminata sul piano nazionale, ha raggiunto una maturità finalmente in grado
di rispondere alle emergenze nazionali.
L’organizzazione della Protezione Civile, così come la
conosciamo, ha tuttavia richiesto lunghi anni di dibattiti e evoluzioni; la
prima iniziativa di legge fu presentata al Parlamento nel 1970,
in seguito all’alluvione di Firenze
del 1966 e al terremoto del Belice del 1968; tuttavia, i regolamenti attuativi
furono approvati solo nel 1981, dopo i terremoti del Friuli e di Campania e
Basilicata. In questi due casi, le risposte nella prima emergenza furono ancora
una volta disordinate; nel caso del Friuli, la presenza di numerosi soldati di
leva che soggiornavano nelle caserme della zona permise di portare aiuto in
maniera relativamente rapida ai terremotati. In Irpinia, invece, la macchina
dei soccorsi fu lenta e impreparata, arrivando in alcuni dei paesi più colpiti
anche 30 ore dopo la prima scossa. L’asperità
morfologica del territorio colpito e la scarsità di vie di comunicazione tra le
zone interne e le principali arterie stradali e autostradali rallentò l’arrivo
dei mezzi di soccorso; inoltre 18 su 24 tra i reparti attrezzati per i
soccorsi si trovavano in Italia settentrionale, uno solo di essi si trovava al
Sud. Il presidente della Repubblica Pertini, in visita alle zone terremotate
nei giorni immediatamente successivi, constatò direttamente il ritardo degli
interventi e non mancò di sottolinearlo con un intervento televisivo dai toni
duri.
In seguito ai
terremoti del Friuli e dell’Irpinia fu nominato dal governo un commissario
straordinario, con il compito di coordinare gli interventi e la sistemazione
dei senzatetto; in entrambi i casi il commissario fu l’on. Giuseppe
Zamberletti, che era stato tra i relatori della legge del 1970 per la Protezione civile.
Attualmente Zamberletti è presidente della commissione Grandi Rischi del
dipartimento nazionale della Protezione Civile.
Il Sistema Nazionale
di Protezione Civile fu istituito da una legge del 24 febbraio 1992; questa
legge prevedeva che i compiti di Protezione Civile andassero distribuiti “alle
regioni, alle province, ai comuni, agli enti pubblici nazionali e territoriali
e tutte le altre istituzioni ed organizzazione pubbliche e private presenti sul
territorio nazionale”. In particolare era riconosciuto il ruolo delle
organizzazioni di volontariato, sulla base delle esperienze passate, dall’alluvione
di Firenze in poi. Si calcola, da fonti del dipartimento della Protezione
Civile, che attualmente siano circa 1 milione e 200 mila i volontari collegati
attraverso associazioni ed enti al Sistema Nazionale. Inoltre, nel 2001 il
dipartimento della Protezione Civile è diventato un dipartimento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Uno dei concetti
basilari su cui si basa il sistema di Protezione Civile è la risposta delle
comunità colpite, la prima risposta (e molte volte la decisiva); attraverso la
sensibilizzazione e la diffusione di informazioni tra le popolazioni si può
quindi limitare o fare in parte fronte alle conseguenze di una calamità. In
questo senso assume particolare importanza la memoria di eventi passati e la
consapevolezza di questa fragilità nell’organizzazione sociale delle comunità,
in particolare dove i fattori di rischio (sismico, idrogeologico) sono più
alti. E’ un dato di fatto che l’assiduità di politiche preventive diminuisce di
molto il grado di vulnerabilità di un territorio. Anche se negli ultimi decenni
la diffusione della cultura della Protezione Civile ha fatto molti passi in
avanti, un opera di rafforzamento e di conservazione della memoria, anche
materiale, dei luoghi colpiti da catastrofi, come i terremoti, è un obiettivo
di lungo termine che un paese fragile come l’Italia non può eludere.
http://emidius.mi.ingv.it/CPTI/
(Catalogo Parametrico dei terremoti italiani, Istituto Naz. Geofisica e
Vulcanologia)
http://www.protezionecivile.it/minisite/index.php?dir_pk=249&cms_pk=14839
(Sezione sul rischio sismico del sito della Protezione Civile)
http://ispronline.eu/site/content/listituto
(Istituto di Studi e Ricerche sulla Protezione e la Sicurezza Civile)
http://portale.ingv.it/temi-ricerca/terremoti
(Istituto Naz. Geofisica e vulcanologia, sezione terremoti)
30 ottobre 2007
23 NOVEMBRE 1980
Domenica 23 novembre 1980, ore 19 e 34. Un terremoto di fortissima intensità (10° grado scala Mercalli) colpisce una vasta regione dell’Italia Meridionale, al confine tra la Campania e la Basilicata, e viene avvertito praticamente in tutto il Sud Italia, da Roma in giù. I morti saranno 2914, i feriti 8800 e 275mila i senzatetto.
Questa è la versione fredda che del terremoto dell’Irpinia (o meglio di Campania e Basilicata) si può trovare negli annali. Ma per raccontare un evento tragico e devastante non bastano cifre, cronologie o citazioni.
Bisogna interpellare la memoria.
Anche se la memoria è una fonte storica imperfetta, da soppesare attentamente, da verificare più e più volte. Tuttavia, il racconto di un evento tragico, di una sofferenza estrema ha un valore diverso in quanto a testimonianza. Basti pensare all’uso dei racconti orali per cercare di narrare gli orrori della Shoah, delle violenze di massa, dei bombardamenti. Per questo, interrogare la memoria, collettiva ed individuale, per raccontare il terremoto, la nostra tragedia, può essere un’operazione culturale di grande valore.
Per far emergere le visioni del mondo, il senso che la gente ha dato alle cose, le sue spiegazioni. Per far emergere, senza fronzoli e dietrologie, il dolore rimosso.
Se hai qualcosa da testimoniare, scrivi a stefanoventura@unisi.it; il tuo aiuto, insieme a quello degli altri, contribuirà a ricostruire il mosaico della memoria del terremoto.
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